Il Torrino è un quartiere a sud di Roma, subito sotto l'EUR. È una zona per lo più residenziale con la presenza a macchia di leopardo di alcune sedi di grandi aziende e uffici pubblici. C'è ancora molto verde anche se piange il cuore a vedere lo stato di abbandono in cui versa. Ma quello che più rimane impresso è il cielo. Le mille versioni di cielo che ogni mattina mi sono trovato davanti agli occhi in questo ultimo anno uscendo dalla stazione di Tor di Valle.
Mille colori, mille sfumature di ciascun colore, combinazioni di nuvole e nuvole e nuvole e sole, nuvole e pioggia, nuvole e sole e pioggia e nuvole e cielo. Come un dipinto ad acquerello in cui ogni elemento si confonde e fonde dentro l'altro. In qualsiasi stagione dell'anno, in ogni mese di ciascuna stagione, in un giorno qualsiasi di ogni mese di questa frequentazione quotidiana, davanti agli occhi mi si è presentato uno scenario diverso che rendeva meno pesante l'attesa di un autobus che non passava mai. E quelle rare volte che capitava che non dovessi aspettare, un po' mi dispiaceva non rimanere lì a fotografare con i miei occhi quel cielo, ad imprimere nella mia mente istantanee di quelle nuvole che sovrastavano la selvatica campagna del piazzale Ezio Tarantelli. Un paio di grandi cartelloni pubblicitari completavano il disegno visionario e neorealista che mi si offriva agli occhi ancora strabuzzati dal sonno di una levata prematura, in quello stato di semi coscienza che intercorre tra il caffellatte preso prima di uscire di casa e il caffè al bar che segna l'inizio della giornata lavorativa.
È il racconto di un pezzo di Roma che è Roma ma potrebbe essere un qualsiasi posto in cui l'uomo ha innestato nella natura un tocco di anonimato. Un "non luogo" che trova la sua essenza nell'alienazione in una dimensione metafisica in cui realtà e pensieri si muovono come le nuvole, veloci o lente a seconda del vento, e si confondono come l'acqua nell'acqua, non si capisce bene se in modo consistente o come frutto di un'elaborazione della mente.